Neosassismo
....tra Utopia e Realtà
Estratto ed adattato dall’articolo “Neosassisti – Un
viaggio nell’Utopia…” pubblicato sull’Annuario di Alpinismo Europeo 2018 “Up 2019” edito da Versante Sud: https://www.versantesud.it/shop/up-2019/
capire che l’arrampicata poteva essere un gioco, semplice, divertente e appagante, ma anche un viaggio ricco e profondo. Fino ad allora l’arrampicata era sofferenza, sfida contro la natura avversa, celebrazione dell’eroe che lotta strenuamente per la conquista di una cima. Improvvisamente, ci si stancò di questa “lotta con l’alpe” e l’obiettivo non fu più la cima, ma il semplice fluire lungo la parete per esplorare nuove gestualità e nuovi orizzonti, tra i quali la consapevolezza di se stessi e del proprio mondo interiore. Tutte le regole e convenzioni vennero messe in discussione, la creatività esplose e nacque l’arrampicata “libera”, in cui al gioco e alla leggerezza si aggiungevano l’anticonformismo e l’individualità.
Quei liberi movimenti, che furono poi chiamati Nuovo Mattino e Sassismo, non erano nient’altro che la rappresentazione di una ribellione
con cui si manifestava il desiderio di libertà dagli schemi della società e dai
suoi dogmi.

Da allora l’evoluzione dell’arrampicata è stata rapida
e ricca di molte sfumature, con percorsi esplorativi che hanno tentato di darle
una personalità chiara e definita, ma che spesso sono sfociati in contrasti e contraddizioni.
I conflitti tra “vecchio” e “nuovo” sono sempre
esistiti in essa, e da tale antitesi ne è sempre derivata una sintesi perfetta,
che sostanzialmente ha perso per strada alcune cose per poi guadagnarne altre. Dall’antitesi “alpinismo eroico vs Nuovo
Mattino/Sassismo” è nata l’arrampicata libera, che è poi diventata arrampicata sportiva
grazie anche alla discussa rivoluzione dello spit, fino ad esplodere con le competizioni
e le gare, per ritrovare un suo lato romantico nella riscoperta del bouldering
in chiave moderna… Tutte le passate “rivoluzioni” hanno comportato di volta in
volta una rivisitazione degli ideali e dell’etica, che ha spesso implicato scontri
aspri tra le fazioni avverse. Inoltre, queste rivoluzioni hanno sempre trovato
nel “nuovo” una spinta per rinnovare la creatività e la fantasia, a fronte di
una stagnazione in modi di intendere l’arrampicata che si erano via via calcificati,
tarpando le ali agli “esploratori” di nuovi cammini.
Anche in questi ultimissimi anni è in atto una
sorta di rivoluzione dell’arrampicata che sta drasticamente cambiando questo
mondo. Ciò che sta succedendo ha però delle caratteristiche ben diverse da
quanto successo in precedenza, per quanto sembri manifestarsi ancora come
l’ennesimo contrasto tra vecchio e nuovo. In questo contesto capita spesso che la
cosiddetta “old school” rivolga critiche aspre e talvolta eccessive alla nuova
generazione di climber, probabilmente sotto l’influenza delle storie personali arrampicatorie
che hanno vissuto la maggior parte dei “vecchietti”. Fino a pochi anni fa l’arrampicata era uno
stile di vita ed una strada per allontanarsi da una visione della vita
conformista, succube alle convenzioni della società. Questo è sempre stato il
suo tratto caratteristico fin da quando sbocciò come disciplina indipendente
dall’alpinismo: l’essere qualcosa di ribelle, in cui era possibile trovare un contesto
fervido, forse anche un vero e proprio rifugio, per sviluppare la propria
individualità là dove non era possibile che questa si integrasse nel contesto
della società comune. In arrampicata trovavano libera espressione individui originali
che faticavano ad inserirsi al di fuori di quella realtà, o che trovavano nello
scalare una valvola di sfogo per una vita che spesso andava stretta. L’arrampicata
era controcultura, anticonformismo, ribellione silenziosa, uno stile di vita
che spesso rischiava anche di degenerare in cammini del tutto distaccati dalla
società od eccessivamente bizzarri, ma nei quali lo sviluppo della propria individualità
poteva aver luogo in un contesto alternativo a quello che il resto del mondo
offriva. Tutte le rivoluzioni, i contrasti, gli errori e le contraddizioni
stesse che hanno animato la tribù degli arrampicatori del passato si sono
sempre realizzate entro questi confini, mantenendo intatto lo spirito
anticonformista dell’arrampicata e cambiandone casomai solo la sua effimera
apparenza esteriore. Per questo, fino a pochi anni fa, l’arrampicata era ancora
“indigesta” a tutti coloro che non sentivano questa necessità di ritagliarsi
uno spazio vitale al di fuori dei binari comuni su cui dovevano far viaggiare
la propria esistenza.
Proprio in questa prospettiva, la rivoluzione degli
ultimi anni risulta drasticamente evidente: l’arrampicata è uscita dalle cantine
e dai boschi e si è avviata a grandi passi nell’affermarsi come uno sport di
massa, alla portata di tutti, tanto da diventare un qualcosa di omologato e
integrato nella società attuale. L’arrampicata sta diventando, se non lo è già,
uno dei tanti specchi della modernità.
Persone che prima mai avrebbero trovato la
motivazione per “cercarla” nei meandri in cui si nascondeva, ora se la trovano
sbattuta in faccia in molteplici occasioni, con il fascino che esercita e che
attira molti come alternativa al fitness o alle convenzionali attività fisiche
post-lavorative. Pseudosportivi della domenica invadono sale e falesie, coppie
alla ricerca di un’attività condivisa iniziano ad arrampicare come alternativa
al latino-americano, genitori avulsi da qualunque cultura arrampicatoria portano
i propri figli a seguire corsi di arrampicata, piuttosto che avviarli al
calcio, alla pallavolo o qualunque altro comune sport…Mille altre novità si
moltiplicano di giorno in giorno.
Non che ci sia nulla di male in questo, anzi!
Finalmente viene sancita l’importanza di una disciplina fisica validissima, che
forse più che altre ha le potenzialità di promuovere la crescita ad un livello
non solo fisico, ma anche psicologico ed emotivo, grazie alla molteplicità dei
fattori che vengono stimolati. Nemmeno c’è nulla di male nel fatto che molti vi
si approccino con l’idea di praticare uno sport o un passatempo come un altro.
Ben venga che l’arrampicata venga finalmente scoperta in tutte le sue
potenzialità!
Il problema è un altro e risiede nella
contemporanea perdita di valori e di prospettive che si amplifica di pari passo
all’aumento del numero di praticanti. I
responsabili di questa situazione, consapevoli o inconsapevoli, non sono
sicuramente principianti o nuovi adepti, ma proprio chi in questo mondo ci vive
già da tempo.
Nel contesto attuale, possibilità prima improbabili
e spesso ardentemente agognate (ad esempio poter rendere l’arrampicata stessa
la propria fonte di sostentamento…) sono diventate del tutto effettive ed il
“commercio” dell’arrampicata è una realtà evidente, mostrando uno sviluppo
esponenziale che fa gola a molti.
Da certi punti di vista era inevitabile che fosse
così. Un assaggio lo si era già avuto negli anni ottanta, quando il clamore
mediatico delle prime competizione attirò migliaia di persone e molti sponsor,
per poi spegnersi nella sterilità stessa che forse proprio questo temporanea
“mediatizzazione” dell’arrampicata portò nella comunità verticale. Proprio a
cavallo tra anni ottanta e novanta iniziò infatti un periodo poco creativo per
la neonata arrampicata “sportiva” che si rinchiuse in se stessa, nelle sue
paranoie della prestazione a tutti i costi, e che conobbe una boccata d’aria
fresca solo quando a fine anni novanta la riscoperta del boulder riportò in
vita uno spirito ormai agonizzante. Forse quegli anni furono solo l’acerbo
preludio di quello che sta succedendo ora, dove il terreno è ben più fertile
per far sbocciare ciò che allora non riuscì. Assistiamo quindi al boom
mediatico e commerciale dell’arrampicata, con tutte le implicazioni che questo
comporta.
Di per sé, idealmente, la commercializzazione
dell’arrampicata non implicherebbe necessariamente l’abbandono di quei valori che
hanno sempre animato questo mondo, sebbene questa sia solo un’utopia che si
scontra con la realtà dei fatti: ogni qualvolta subentra il commercio, il peso
e la responsabilità di trasferire certi valori vengono accantonati a fronte
della superficialità e del tornaconto personale, che si instaurano quando l’unica
preoccupazione è quella di catturare clienti o di conquistare una fetta di
mercato.
La massa non cerca valori ma servizi, non vuole responsabilità
ma leggerezza, tutto condito da quell’omologazione che la rende, appunto, una “massa”.
Chi si trova ad “offrire” l’arrampicata si è spesso adattato a tali
superficiali esigenze, assecondandole in tutto per il proprio egoistico
interesse piuttosto che assumersi la responsabilità di essere un formatore serio,
che trasmetta un approccio più consapevole alla pratica.
Questo è ciò che sta succedendo: l’anticonformismo,
la creatività, l’arrampicata come una risposta alternativa alle convenzioni si
sono gradualmente spenti per sopravvivere in pochi individui isolati, mentre la
massificazione, il commercio e le mode hanno trovato in questa disciplina un
semplice sport, che risponde perfettamente all’esigenza di “like” della realtà
moderna.
Questo è ciò che sempre più appare e che ha
drasticamente modificando l’approccio all’arrampicata.
Tuttavia, lasciarsi impressionare dalla negatività
e pensare che ci si sia ridotti ormai solo così sarebbe uno sminuire il potere
stesso di questa disciplina, che nella sua essenza sarà sempre superiore a
qualunque tentativo di mercificazione.
Non ci sono dubbi che esistano molti i ragazzi in
cui brucia il fuoco di una sincera passione unito al semplice desiderio di trovare
se stessi, di stare bene e di crescere attraverso l’arrampicata. Probabilmente
molti di loro non ne sono nemmeno consapevoli, perché, immersi in tale mondo
consumistico, non hanno che la sola possibilità di omologarsi seguendo la massa
e l’unico “prodotto” che viene loro offerto. Ciò che possono apprendere facilmente
è la visione univoca di ciò che gli viene sbattuto davanti, con la complicità
di addetti ai lavori (istruttori, allenatori, gestori di palestre, brand, siti
di informazione ecc.) che, per la maggior parte, non hanno a cuore il
trasferimento di un certo tipo di ideali. Infatti, al di là dell’approccio
stesso alla disciplina, molte problematiche etiche legate ad esempio al
rispetto della roccia e della natura, sono la conseguenza di una inadeguata “istruzione”
dei nuovi praticanti, aggravata dalla tendenza al menefreghismo nei confronti
della storia passata e di tutto ciò che sta un metro più in là del proprio
naso.
Se non saranno innanzitutto i formatori attuali a cambiare
rotta e a preoccuparsi di trasferire quel minimo di storia, cultura e valori
che hanno costituito da sempre l’arrampicata, allora anche tutti coloro che si
sono avvicinati a questa disciplina attratti dalla sua vera essenza si troveranno
ad uniformarsi ad un format pre-tracciato per loro…e l’esplorazione di nuovi
cammini o nuove prospettive non avranno mai alcuna possibilità di realizzarsi.
Se si possono infatti cercare delle parole chiave
che hanno costituito l’essenza dell’arrampicata sono proprio queste:
esplorazione, creatività, originalità, individualità, voglia di mettersi sempre
in discussione…tutto ciò che ora viene accantonato, ma che in molti nuovi
praticanti risveglia di sicuro una bruciante ed inconsapevole sete di scoperta.
L’esplorazione non è solo viaggiare nel mondo per ricercare la linea perfetta o
la location remota... L’esplorazione è innanzitutto un atteggiamento personale,
il saper vedere qualcosa che altri non posso vedere e sapergli attribuire un
significato, il saper trovare una prospettiva originale e occasioni d’avventura
là dove la massa non è in grado di scorgere od apprezzare nulla. L’esplorazione
è alla portata di tutti, in luoghi che magari abbiamo visitato mille volte e
richiede solo la capacità di osservare con occhi diversi ed ascoltare
innanzitutto se stessi.
È un cammino spesso solitario e controcorrente per
il quale bisogna essere portati, ma ripaga con esperienze che danno un
significato più profondo rispetto al semplice tirare prese e scrivere un
numerino su un diario, animando una passione che potrà durare per tutta la
vita…
È un sassismo rinnovato che vive di emozioni e di
una visione dell’arrampicata come viaggio utopico, che, vicino o lontano, ci
porta soltanto a trovare noi stessi. Un viaggio che chiunque, indipendentemente
da quanto bravo e forte sia, può affrontare…per godere di ciò che l’arrampicata
può essere al di là della sua superficiale apparenza attuale.
Eppure come si può parlare di Sassismo oggi, alla
luce dell’attuale mondo dell’arrampicata? Dove sono la provocazione, la
creatività e la scanzonata leggerezza con cui i Sassisti esploravano le pareti
e i massi della Val di Mello, spesso scrivendo molte pagine nella storia
dell’arrampicata italiana?
Possiamo forse trovarle dietro le lucine colorate
che segnano le prese da utilizzare sul pannello, gli appigli rigorosamente dello
stesso colore, i boulder su roccia ormai consunta da centinaia di anonime
ripetizioni focalizzate solo sulla ricerca di un banale numero o forse dietro la
musica a palla alla base dei blocchi o i fari che abbagliano la pace della
notte?!?!
Dove sono le profonde riflessioni che l’arrampicata
ha suscitato in individui come Motti, Guerini, Miotti, Gogna ecc. e che hanno
portato a comprendere questa disciplina ben al di là del tirare due prese?
Si nascondono forse nei pomposi quanto inutili video
che invadono la rete, nelle foto senz’anima, nel numero di like con i quali ci
si crogiola o nei post sgrammaticati che celebrano realizzazioni che già dieci
anni non erano né nuove né eccezionali?!?!
No, non è certo in queste cose che possiamo
ritrovare l’anima del Sassismo.
A dire il vero non avrebbe neppure senso cercare di
ripristinare quel movimento che aveva ragione di esistere allora, in quel
contesto, e che ha dato tutti i suoi frutti prima di essere travolto da ciò che
lui stesso aveva contribuito a creare.
Ciò che serve è alla base, è la ricerca dello
spirito stesso che ha dato vita al Sassismo, un rinnovamento in chiave moderna
di quella forza primordiale che attraverso l’arrampicata alimenta l’unione in
noi stessi e fuori di noi, con la roccia e la natura. Come allora, anche adesso
serve una rottura, un cambio di rotta rispetto al vigente dogma dell’arrampicata
consumistica, social, commerciale, scimmiottesca ed ignorante, che in tutte
queste caratteristiche si è trasformata nel simbolo della società attuale e
della sua omologazione.
Servono individui liberi, sognatori, creativi,
anticonformisti, che sappiano dare un significato più profondo e più sano
all’arrampicata, mantenendo in vita quella che forse è solo un’Utopia
irraggiungibile, ma nella quale vale almeno la pena di credere.
In altre parole…serve un “Neosassismo” e neosassisti!
Servono…ma già ci sono!
Anche se buona parte di loro non è del tutto
cosciente, i neosassisti sono già tanti e hanno solo bisogno di osare e prendere
maggiore consapevolezza…ed un giorno ci si renderà conto che le storie che meritano
di essere raccontate dovrebbero essere le loro!
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