Uno sguardo dal passato al futuro

Articolo pubblicato on-line: https://www.up-climbing.com/it/boulder/news/34299

Da SportRoccia alle Olimpiadi, come è cambiata e cambierà l’arrampicata?

Un manifesto del passato per porsi qualche domanda sul presente e sul futuro...

 

Patrick Edlinger a SportRoccia85. Foto M. Scolaris

In questi ultimi anni l’arrampicata ha iniziato un processo di rivoluzione che ha drasticamente modificato molte sue caratteristiche e ha ampliato gli orizzonti, avviandosi a diventare un cosiddetto “sport di massa”. Che questo processo stia procedendo grandi passi è sotto gli occhi di tutti, come dimostrato dal notevole aumento nel numero di praticanti e dall’impatto mediatico sempre maggiore di questa disciplina. Che sia un processo solo positivo per questa disciplina ai posteri l’ardua sentenza. Di certo alcune caratteristiche con cui possiamo descrivere qualunque cosa sia “di massa” nel mondo attuale sono: superficialità, culto dell’apparenza, consumismo, omologazione, commercio… quindi è arduo propendere all’ottimismo.
La concezione attuale si è trasformata definitivamente nel considerare l’arrampicata come una disciplina in cui la componente sportiva ha il predominio completo ed è in questa prospettiva che la stragrande maggioranza dei nuovi utenti vi si approccia. Negli anni, il mondo verticale si è adattato alle esigenze della “sportività” e alle esigenze commerciali inevitabilmente connesse ad essa, in un’evoluzione che ha polarizzato sempre di più in tale direzione e che sempre di più non ha nella pratica su roccia il suo punto di partenza.
Fino a poco più di una decina di anni fa, le competizioni stesse erano l'occasione in cui i climber provenienti dalla roccia trovavano il contesto più idoneo per confrontarsi tra loro a pari armi e nelle stesse condizioni, lontano da quelle sterili battaglie a chi saliva il grado più duro su roccia e che in passato tanto hanno contribuito a guastare le bellezza di questa disciplina.
Tuttavia, le competizioni si sono ora completamente distaccate da tali origini “outdoor” e sono spesso il terreno di gioco per ragazzi che “fuori” nemmeno ci sono mai stati e che credono che l'arrampicata sia solo questo. Per quanto ciò sia in parte il risultato di una naturale ed inevitabile evoluzione, le nuove tendenze sono state incentivate sicuramente da un maggiore impatto mediatico, che ben si adatta ad attirare l’attenzione di grandi sponsor, a catturare nuovi adepti e aprire possibilità commerciali prima impensabili.
Ben venga che ci sia una maggior possibilità di vivere di arrampicata e di questo possiamo essere soddisfatti e contenti. Tuttavia, è inevitabile che quando il soldo inizia a circolare la prima cosa che va a quel paese sono gli ideali, che nulla più contano di fronte al commercio e all’economia…
In questo processo di massificazione/commercializzazione dello “Sport Arrampicata”, la chiusura del cerchio non poteva che avvenire con l’obiettivo più ambito e a lungo ricercato: la partecipazione alle Olimpiadi.
Che le Olimpiadi siano uno spettacolo meraviglioso e appassionante è fuori di discussione, e che generino un profondo trasporto emotivo in chiunque ami le discipline sportive lo è altrettanto. Sarebbe comunque stupido non considerare questa come una grande opportunità. Però sarebbe altrettanto stupido non farsi delle domande su come il mondo verticale possa venire ulteriormente trasformato da questo avvenimento. Sarebbe anche bello poter dire che le Olimpiadi hanno mantenuto lo spirito originario con cui De Coubertin le ha riportate in vita nel 1896 ma la realtà dei fatti è che questa manifestazione non è che un teatrino dove sportività, passione, forza di volontà e sana competizione sono più che altro asserviti a soddisfare le esigenze dei fortissimo poteri economici che vi stanno dietro…
Dal punto di vista dell’arrampicata, l’avventura olimpica è ulteriormente scompigliata dal format proposto: un’unica medaglia assegnata ad una gara combinata Speed-Boulder-Lead, ben lontana non solo dalle origini della disciplina ma anche dall’elevata specializzazione che la maggioranza degli atleti hanno ricercato negli ultimi anni e che è fondamentale per spingere i limiti verso orizzonti sempre più lontani. Anche in questo caso, le discussioni sono state vaste ed infuocate, ad iniziare da un certo Adam Ondra che ha criticato molto aspramente questo formato, o dal nostro nostro stesso Stefano Ghisolfi, che nelle ultime settimane si è pubblicamente esposto sui social manifestando le sue lecite perplessità su questo formato, soprattutto per le conseguenze che potrebbe avere a posteriori.
Nonostante i drastici cambiamenti degli ultimi anni, ciò che l’arrampicata sta vivendo ora non è che la conclusione di un processo iniziato in realtà più di 30 anni fa, quando la nascita dell’arrampicata sportiva ha avuto il suo battesimo con le prime vere gare internazionali, inaugurate da SportRoccia85. La maggior parte degli arrampicatori non erano ancora nata allora, diversi altri erano bambini come me, mentre pochi erano già adulti consapevoli. SportRoccia fu una rivoluzione e il primo passo nel cammino verso il traguardo delle Olimpiadi, che consacra definitivamente l’arrampicata come uno sport.
Ma allora come è cambiata l’arrampicata in questi decenni rispetto alle vere origini? Alla fine il bilancio è stato positivo oppure no nel lungo termine? Cosa avverrà da qui in poi? In pochi hanno un’adeguata ed ininterrotta esperienza nel mondo dell’arrampicata per poterne dare un quadro oggettivo.
Un interessante spunto di riflessione viene da un documento che risale a quell’epoca, in cui 19 rilevanti climber del tempo, alcuni dei quali riconosciute leggende, si schierarono contro le gare di arrampicata. In questo contesto di grande discussione e trasformazione, è comunque interessante guardare al passato e rileggere questo manifesto, anche solo per avere una prospettiva diversa o una pura conoscenza storica.
Alcune delle affermazioni riportate in esso sono anacronistiche e ormai superate, altre ancora si riferiscono allo specifico contesto di allora ma molte altre sono profetiche in relazione a quello che ne è poi derivato fino al presente.
In ogni caso, la concezione e lo spirito dell’arrampicata così come traspare nelle frasi finali di questo documento è ciò che molti hanno ricercato in essa e sono ciò che da sempre hanno reso così eccezionale questa disciplina. Chissà fino a che punto questi valori siano compatibili con il futuro che ci attende, visto che già ora sono agonizzanti.
Ad ogni modo, nel caso vadano definitivamente persi, l’arrampicata potrà anche diventare lo sport più praticato al mondo, ma non avrà più la sua anima vera ed autentica.
Buona lettura.

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 Il manifesto dei 19
1985, dieci anni che l'arrampicata libera si è sviluppata in Francia. Oggetto di irrisione all'inizio, attualmente costituisce la regola del gioco per la maggior parte degli arrampicatori.
1985, varie competizioni sono previste in Francia, alcune organizzate da associazioni, altre da società commerciali e quindi sponsorizzate. Alcuni si rallegrano di tale evoluzione. Altri, no.
Noi facciamo parte di questa seconda categoria. Noi, cioè tutti gli arrampicatori che, dopo aver letto ed approvato, hanno firmato questa lettera. Persone che per tutto l'anno investono tempo, fatica e denaro allenandosi ed arrampicando in falesia. Lo scopo di questo testo non è di tentare di analizzare le cause della nascita delle competizioni (che non fu del tutto democratica...), né di denunciare un responsabile, ma di tratteggiare le conseguenze possibili e probabili di un'ulteriore evoluzione.
Innanzitutto è falso credere che la maggior parte degli arrampicatori «forti» sia favorevole e pronta a partecipare alle future competizioni. Questa lettera ne è la prova.
Certi sport, come ad esempio il calcio o il tennis, traggono la loro ragione d'essere dalle competizioni. Ma l'essenza dell'arrampicata è un'altra. La sua finalità ultima è e deve restare la ricerca di una difficoltà tecnica e di un impegno (solitarie, chiodature lunghe) sempre crescente. E già qui compare una contraddizione con le gare. Siamo realisti. Ci si può immaginare una competizione basata sulla difficoltà pura, ma le necessità dei media sono altre.
Per essere spettacolare e fruibile al grande pubblico, la gara deve fornire un parametro di misura facilmente comprensibile a tutti; è del resto il problema di altri sport visivamente troppo complessi, come la scherma ed il judo. Il parametro più comprensibile è la velocità, il verdetto del cronometro. L'arrampicata come lo sci: un circuito professionistico con una monopolizzazione delle falesie. Ed anche se si facessero le gare di difficoltà pura, cosa ci darebbero di più? Ci mostrerebbero chi sono i migliori? Nemmeno quello, perché l'arrampicata moderna è troppo complessa (salite in libera, a vista, a tentativi, in solitaria) per dare giudizi netti. Attualmente esiste una competizione indotta (argomento di fondo dei sostenitori delle gare) e la ricerca di un certo riconoscimento da parte delle riviste specializzate. Ed allora? È proprio per queste cose che si sono avuti i fantastici progressi degli ultimi anni. Ma sarebbe più giusto parlare di emulazione. Certo, ci sono delle tensioni fra gli arrampicatori. Ma sono inevitabili e questa lettera, firmata dagli arrampicatori del Nord e del Sud, mostra che è possibile mettersi d'accordo sui temi di fondo.
Forse questa visione delle cose è un po' troppo individualista. Ma è quella di un'arrampicata vista come rifugio, di fronte a certi archetipi della nostra società, come opposizione a tutti questi sport giudicati, arbitrati, cronometrati, ufficializzati ed istituzionalizzati. Arrampicare a tempo pieno, o quasi, implica dei sacrifici ed anche una certa marginalità. Ma può essere un'avventura, una scoperta, un gioco in cui ciascuno può fissare le sue regole. Noi non vogliamo allenatori o selezionatori, perché arrampicare è innanzitutto una ricerca personale. Se nessuno reagisce, la competizione concepita e realizzata da una minoranza può rapidamente e troppo facilmente diventare il riferimento assoluto. Domani, ci saranno gare e concorrenti con il pettorale numerato, di fronte alle telecamere della TV, forse. Ma ci saranno anche degli arrampicatori che continueranno a praticare il vero gioco dell'arrampicata. Degli arrampicatori che saranno i guardiani di un certo spirito e di una certa etica.

Patrick Berhault
Patrick Bestagno
Eddy Boucher
Jean Pierre Bouvier
David Chambre
Catherine Destivelle
Jean-Claude Droyer
Christine Gambert
Denis Garnier
Alain Ghersen
Fabrice Guillot
Christian Guyomar
Laurent Jacob
Antoine e Marc Le Menestrel
Dominique Marchal
Jo Montchaussé
Françoise Quintin
Jean-Baptiste Tribout.

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